C’era
una volta un computer della Sony.
O meglio, c’era una volta una linea di computer della
Sony, ditta giapponese di elettronica, che prendeva il nome di Vaio. Io, me
medesima insegnante itinerante, avevo una passione smodata per tale prodotto
informatico. Tanto che dal 2004 ad oggi tutti i miei pc sono stati Notebook
Vaio con uno schermone da ben diciassette pollici: dei veri e propri,
pesantissimi, dinosauri di silicio.
Ahimè, un brutto giorno, il mio saggio padre mi
telefonò ed esordì: “Ludo, lo sai che la Sony ha annunciato di voler smettere
di produrre computer? Quindi inizia a guardarti intorno, perché dovrai cambiare
modello”.
Tragedia.
Panico.
Nostalgia.
Un’epoca che finiva. Un altro piccolo mondo che si
chiudeva; così com’era stato per il lettore mini-disc (meteora tecnologica paragonabile
al fenomeno del super vhs, del super 8 e del DAT) e per i nastri magnetici, le
musicassette, le videocassette e i floppy disk.
Triste fu l’alba, quando l’ultimo Vaio uscì dalla
catena di produzione della Sony.
Eppure... non tutti i Vaî - grafia corretta del
plurale “Vaio” - sono estinti.
Colta dal fulmine a ciel sereno, decisi di uscire dal
mio ufficio a rinfrescarmi le idee. Già che c’ero, mi fermai anche dall’ortolano
di fiducia, a comprare due banane e qualche kiwi. Non c’è niente di meglio del
fare il pieno di sali minerali e vitamine, per abbassare lo stress e schiarirsi
la mente. Con l’aggiunta di un bel paio di scarpe comode.
Iniziai a camminare, senza una meta precisa, in cerca
di un’illuminazione; di un segno; o di un computer che soddisfacesse le mie
assurde pretese.
Girovagai in lungo e in largo, sbucciando banane e
pelando kiwi; mi sentivo una specie di Forrest Gump, podista ramingo per gli
Stati Uniti. Solo, in versione femminile ed europea.
Nel mio viaggio non ispirai l’inventore degli “Smile”,
né l’uomo che vendeva aforismi adesivi da incollare in ogni dove. Forse feci
qualche lezione. Magari insegnai una lingua o due. O illustrai le bellezze di
civiltà scomparse - ah... sospiro di nostalgia -. Finché, una notte, mi trovai nientepopodimeno
ché... in Siberia. Meno quarantasei gradi d’inverno. Per fortuna, come ormai
avrete capito, questo è un racconto di fantasia - almeno in parte - e il mio
viaggio avrebbe potuto portarmi ovunque. Ma perché proprio in cima al mondo, a
pochi chilometri dalla linea virtuale del Circolo Polare Artico? Chissà. Ero desiderosa
di una risposta alla mia nuova condizione di orfana informatica. O
semplicemente alla ricerca di una consolazione. E come in ogni favola che si
rispetti, ne trovai. Camminando fra alberi in boccio, nella parte della Sibera
in cui ancora cresce la foresta, al chiaro di luna vidi delle piccole creature
volanti. Non erano pipistrelli perché non battevano le ali. Apparivano più come
scoiattoli muniti di deltaplano. Difficile guardarli da vicino: si sa, i
roditori sono creature molto diffidenti. A chi porre domande per saziare la mia
curiosità? Il mio smartphone è notevole, ma nella foresta siberiana proprio non
c’è campo e San Google non poteva corrermi in aiuto.
Ed ecco che in scena facciamo entrare il fantasma
dello zar Nicola II - mi sovviene l’Amleto e il fantasma del Re di
Danimarca suo padre... ma no, questa è storia per un altro giorno... -. Mi
avvicinai con la circospezione e il rispetto, che nascono spontanei di fronte
ad un uomo di tale estrazione sociale, e domandai: “Maestà, sapete dirmi cosa
sono quelle piccole creature che si intravedono saltare e fluttuare fra i rami?”
Nicola II mi guardò altezzoso, come fossi la scema del
villaggio e disse: “Sono scoiattoli volanti siberiani.”
“Oh.”
Si lisciò il mantello dell’uniforme imperiale: “La
loro pelliccia, il vaio, ha dato vita
al mio mantello”. Senza aggiungere altro, si allontanò. I suoi passi non fecero
rumore sul manto umido del bosco. Per forza: era un fantasma in un viaggio di
fantasia!
Scoiattoli col vaio... mah... almeno quelli non
sarebbero usciti di produzione, ringraziamo madre natura.
Ancora perplessa per la scoperta, presi una banana
dalla mia borsa - c’è chi mi chiama “Bertuccia”, per la mia attitudine a
mangiare abitualmente questo frutto. Sarà che lo trovo molto pratico e ne
apprezzo la ricchezza di fibre, zuccheri e potassio, per cui lo prediligo.
La mia banana - meno male che ancora nessuno mi ha
associato ai Minion del film di animazione Cattivissimo me... - era piena di
puntini neri e un po’ molliccia, sebbene la consistenza non fosse affatto
sgradevole. La guardai comunque dubbiosa: dovevo aver camminato davvero a
lungo, se la frutta aveva fatto in tempo a maturare così tanto. Feci per
sbucciare la banana, quando dagli alberi spuntò di nuovo il fantasma di Nicola
II.
“Cosa c’è stavolta?” gli chiesi, con meno
salamelecchi. Non mi piace essere trattata con alterigia, neanche da un
imperatore.
“Sai cosa stai per mangiare?” mi rimbeccò sprezzante.
“Un banana.”
“Lapalissiano. Tzé. Tutto qui quello che sai?”
“Una banana matura?”
“Appunto. Una banana vaia. Tutto ciò che è maturo e maculato di nero, marrone o di un
colore scuro è vaio.”
“Ma va? Grazie. Non lo sapevo.”
Nicola II sospirò sconsolato: “Prego.”
Ci scambiammo un cenno del capo e stavolta svanì in
una suggestiva nube di bruma e vapore. Molto teatrale - sta’ buono Amleto, sei
articolo per un altro post... -.
Il mio sguardo oscillò per qualche istante fra la
banana vaia che avevo ancora fra le mani e le piccole creature che squittivano
forte, ma planavano in silenzio fra un ramo e l’altro. Piccole ombre scure
appena visibili alla luce bianca della luna.
Forse non avrei più avuto un Sony Vaio. O un computer
della Sony. Ormai il mio lettore mini-disc resta a prendere polvere in un
cassetto. E la scatola di floppy disk che conservo nell’avita dimora di
Martinsicuro non disporrà più di un “drive a:” per riportare in vita i dati in
essa contenuti.
Il mio walkman ha smesso da tempo di far girare
chilometri e chilometri di nastro magnetico, per riempire di musica le giornate
di un’adolescente un po’ solitaria.
Ma almeno, tutte le volte che vorrò un vaio, potrò comprare un kiwi molto
maturo pieno di macchie scure. O potrò far invaiare
una banana. E magari penserò a quegli adorabili scoiattoli che svolazzano in
Siberia, con un manto pregiato degno di un imperatore umano e una tenuta da
base jumping che renderebbe invidioso perfino Bruce Wayne!
Ho i brividi... di freddo... eh sì, perché io sono lì in quella radura, volata come per magia nel tuo racconto, ad osservare scoiattoli volanti e imperatori dissolversi in bruma e vapore.
RispondiEliminaChe potere che hai!!! Una potenza infinita, quella di aprire scenari fantastici anche di fronte allo sguardo di osservatori annoiati. L'immaginazione sobbalza e gode di ogni dettaglio, spinta sempre più in là dalla curiosità insaziabile di vedere come andrà a finire.
Grazie Ludo per darci la possibilità di entrare nel tuo mondo nascosto... vaio o no il tuo cuore è a tinte forti e senza macchie!
xoxoxo Eumom, lettrice e sostenitrice indefessa.